lunedì 28 ottobre 2013

Il mio cane ieri pomeriggio, ... - Natalino Balasso

Il mio cane ieri pomeriggio, alle cinque e mezza, è venuto da me e mi ha guardato come se fossero le sei e mezza. Mi guardava dall'alto in basso, come fa spesso, dal momento che sto seduto per terra. Quando sono a casa, leggo all'aperto, sotto il portico. Passo ore seduto per terra, col mio cane che mi dorme vicino. Penso di essere un raro caso di punk a bestia borghese. Insomma, ho pensato che anche il mio cane, con questa storia di mangiare in orari regolari, è diventato un po' borghese. 
Ogni tanto se la prende con qualche tortora di passaggio, per onorare un contratto, poi mi guarda con l'aria di chi in fin dei conti serve a qualcosa. Ma forse è quello che piano piano son riusciti a inculcarci nella mente: la necessità di servire a qualcosa. Bisogna però fare attenzione a questo riflesso, perché si potrebbe finire come la canzone di Jannacci: gente che lavora da una vita e non ha ancora capito che cazzo sta facendo.

Ieri sentivo Renzi, che se facesse tutto quello che dice sarebbe un genio, ma a dirle le cose, è sempre più facile; un giorno discuti di futuro e socialità alla Leopolda, poi il giorno dopo ti svegli e scopri di essere nel PD. In ogni caso anche lui, come molti, diceva che bisogna partire dall'educazione. Ora, non nego che questa sia una cosa bellissima da dire, ma l'educazione in fondo non è che la trasmissione di ciò che sei, perciò noi possiamo immaginare riforme bellissime sulla scuola, sull'educazione come un programma di apprendimento, ma già un "programma di apprendimento" è una preoccupante tecnica asburgica. 


Se tu accompagni tuo figlio a scuola e, nel frattempo, parcheggi in doppia fila per prendere il giornale e lasci la macchina accesa e infami gli altri automobilisti sfogando il lato nascosto della tua personalità più truce, maschilista, omofoba, razzista, tanto sei nell'abitacolo; hai già fatto metà del lavoro educativo. Al resto ci penserà la scuola, che comunque è fatta degli adulti che compongono questa società, la quale non può trasmettere nulla di diverso da ciò che è. E dopo tutto questo insegnamento che mira alla fin fine a stabilire delle gerarchie tra chi farà un lavoro di astrazione e chi farà un lavoro di produzione, rischiamo di avere come unica priorità quella di servire a qualcosa.


Rischiamo di finire a guardare un padrone con la faccia di chi pensa: "Ho fatto la mia parte, dammi i tuoi avanzi". E considererà una conquista, grazie ai suoi sindacati, il fatto di poter godere di avanzi migliori rispetto ai servi di altre nazioni. Salvo dire, con l'appoggio della scienza (come se la scienza fosse generata da extraterrestri e non da umani), che siamo in troppi su questa Terra e, se anche le società povere stessero bene, (perché la nostra idea di stare bene è muoversi su ferraglia lucidata, tenere il riscaldamento acceso all'aperto e refrigerare a 18 gradi d'estate), la Terra sarebbe al collasso; insomma, ad essere di troppo sono sempre gli altri.

A volte si rischia di essere utili a qualcosa ma inutili agli altri. Invece di cogliere una grande opportunità da questa crisi e ripensare alla società, a ciò che produciamo, a come uscire dal circolo vizioso della percezione dei soldi con cui giocarsi una credibilità sociale, a come ripensare gli equilibri di produzione/inquinamento, lavoro/vita, esistenza/pensiero, stiamo facendo di tutto per far tornare questa società ciò che era prima. Per farla tornare, cioè, a com'era quando ha causato questa crisi.

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