Non è remoto il tempo degli olocausti,
quando in ogni egoismo
dorme una nuova Mauthausen.
Mi sono madri, sorelle e figli
quelli che piangono senza colpa,
tra le bombe irlandesi o tra le Tundre,
tra le favelas del Brasile o in Palestina.
Assisto impotente ed attonito
all’oltraggio perpetrato
ogni giorno contro la vita,
ed un brivido agghiacciante mi pervade.
che ci ottunde?
che plana funesta e minacciosa
in attesa dell’esito finale?
Più di ogni cosa sogno la sua distanza,
creare tra noi baratri abissali.
Contro le ombre accenderò mille lanterne
e scaglierò il mio stormo di meteore.
L’atroce sorriso di antichi fantasmi
apre ferite nella carne,
profonde come crepe telluriche,
e ciò che era informe, sopito,
ora riaffiora
alla conquista di terre desolate di metallo,
dove confluiscono integralismi
in vorticosa agonia,
tra sciami di coltelli fiammeggianti.
Sospiri, imprecazioni e gemiti
salgono dagli orogenetici Balcani.
E la battaglia più dura
è sempre quella ancora da combattere.
Per anni ho vagato senza sosta,
cercando l’antidoto alla follia umana.
Ho sentito il lezzo ed il fragore
di ogni inferno delirante del potere.
Ho dormito tra il muschio ed i cartoni
dei clandestini venuti d’oltremare.
Ho navigato tra le dune,
tra i ruderi sommersi e i telescopi,
e ho visto mari senza sponde,
e ho conosciuto terre senza cieli.
Ho visto turbini di fuoco furibondo,
e tempeste siderali piegare come canne
le superbe vette del Tibet.
Ho visto campi sterminati di membra informi
al tuono crepitante dei vulcani nucleari.
Ho sentito l’esile pianto delle vergini,
sacrificate all’alba della vita al dio straniero.
Ho conosciuto i fiori ad uno ad uno,
ed ho atteso il sole
nel petto delle scolopendre rupestri.
Ho visto le foreste arse, spettrali,
dove bruciano coi nidi dei fringuelli
i canti mai vissuti dei pulcini,
ed i voli ancora da spiccare.
Ho visto morire l’altezzosa giraffa,
l’agile mangusta, la granitica conchiglia
e infrangersi, madidi di sangue,
gli ampi drappeggi dei falchi dell’Antartide.
Lo spavaldo galoppo dei puledri e delle zebre
si è infranto come cristallo
colpito da una fionda,
e i possenti giganti degli oceani ridotti
a minuscole efflorescenze puntiformi.
Ma ho anche visto,
nel vuoto incontenibile dell’anima,
spiragli di più nuovi universi palpitati.
Ho visto l’alba stemperarsi
a passi lenti,
come cerbiatta sfiancata da una corsa
davanti al predatore,
e l’impeto vendicativo della natura vilipesa
placarsi, esausto, in un lieve silenzio
avvolto d’autunno.
Ed ora, nel dubbio fluttuante
della sua anima assopita,
dorme, indifferente e crudele,
il mondo sul mio cuore.
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